
Oscar Reutersvärd, scomparso nel 2002, ha
voluto donare la possibilità di utilizzare le proprie Figure
Impossibili al Convegno Incontri con la Matematica. Per
ringraziare l'artista si è perciò pensato di inserire un suo "ricordo",
scritto da Bruno D'Amore, in questo sito dedicato proprio alla longeva
iniziativa ed all'omonima Associazione..

Nel 1982 le poste svedesi emisero una serie di
francobolli sulle “figure impossibili” di Oscar Reutersvärd, chiedendone
il bozzetto per la realizzazione allo stesso Autore.
Nel 1984
alcuni tra i più grandi musei del mondo (Tokio, Stoccolma, New York,…)
gli chiesero di celebrare i 50 anni della sua prima “figura
impossibile”, con una mostra personale.
Nel 1996, la società che
aveva appena terminato di realizzare l’'autostrada di Helsingborg gli
chiese di arredare con sue sculture il futuristico anello della
Malmöleden.…Riconoscimenti di sicuro prestigio, per un artista che,
per tutta la sua lunga vita di creatore (dal 1934 al 2002), ha sempre e
solo disegnato “figure impossibili”, con una appassionata, continua e
costante ricerca che ha dell’'incredibile per la sua univocità.

Tutte
le volte che si parla di “figure impossibili”, però, molti pensano al
famoso “Tribar” o triangolo globalmente impossibile, presentato dai
Penrose, padre (Lionel Sharples, nato nel 1898, psicologo) e figlio
(Roger, nato del 1931, matematico, celeberrimo studioso dello
spazio-tempo e dei buchi neri), nel British Journal of Psychology nel
1958 (Penrose, Penrose, 1958).

Altri pensano invece al cubo di Necker,
che il cervello umano fa tanta fatica ad accomodare per renderlo
accettabilmente reale e dargli un senso prospettico. Altri ancora
pensano alla celebre serie di litografie di Maurits Cornelius Escher
(1898-1972), prime fra tutte “Belvedere”, poi “Salite e discese” ed
inoltre “Cascata”: lo stesso Escher dichiara che la prima fu disegnata
nel 1958 ed ispirata al cubo di Necker, mentre la seconda fu disegnata nel 1960 ed ispirata al lavoro
dei Penrose, così come la terza, disegnata un anno più tardi. (Schattschneider, 1990) (D’Amore, 1999).
Che cosa sono e come nascono le “figure impossibili”?
Nel
bel libro di Jan Gullberg, Mathematics, from the birth of numbers, nel
capitolo dedicato alla geometria, si accenna (pag. 374) a Geometrie
Fantasmagoriche; a parte una rapida citazione al lavoro dei Penrose,
tutto l’argomento è incentrato sul lavoro di Oscar Reutersvärd. Qui,
però, nonostante si tratti di un libro di matematica, nulla si dice
circa la tecnica usata dall’Autore.

Maggiori notizie, per esempio
di conferma sul fatto che la prima “figura impossibile” del nostro sia
del 1934 («Lo stesso anno in cui W. Disney creava Donald Duck», si
pavoneggia Oscar), si trovano in testimonianze di M.Caldarelli (1985),
di M. Emmer (1995), dello stesso O.Reutersvärd (1982) e di B. Ernst
(1985).
Se invece si vuol capire la struttura matematica di una
figura impossibile, bisogna ricorrere ai due ultimi volumi citati poco
sopra. Ma si tratta di una questione molto semplice, di una banale
forzatura della prospettiva.
Questo genere di questione non è un
fatto nuovo; il pittore William Hogart (1697-1774) deve la sua fama
essenzialmente a trucchi prospettici; famoso è quello nel quale lenze di
pescatori e saluti tra amanti rendono paradossale la scena, quando si
cerca, con il cervello, di aggiustare quel che l’occhio da solo non può.
I
lavori di Reutersvärd sono invece basati su un trucco prospettico che
si usa chiamare “prospettiva giapponese” e che consiste essenzialmente
in questo: un oggetto, o una serie di oggetti, vengono visti
contemporaneamente in più prospettive (almeno 2, a volte 3) sotto
direzioni (punti di vista) diverse, ma in modo tale che vi sia una
“saldatura” tra le figure risultanti, in una soluzione generale che non
può esistere, realisticamente assurda.
Se prendiamo la prima opera di Reutersvärd (“Opus 1”, 1934):
:
e numeriamo i “cubi” che la costituiscono
il processo è chiaro: se si osservano i soli “cubi” da 1 a 7 (escludendo 8 e 9), la
prospettiva è corretta, ed ha come direzione quella da sinistra a destra di chi
guarda; se si osservano i cubi da 4 a 1 (escludendo solo 2 e 3), la prospettiva è
ancora corretta, ma ha come direzione quella da destra a sinistra di chi guarda; si
può procedere anche eliminando 5 e 6, ottenendo ancora una prospettiva corretta.
Quel
che cambia completamente la questione, dunque, è il tentativo di
ricomporre tutte queste versioni parziali in un blocco unico, in un
disegno unico: si hanno più punti di collasso, di incoerenza, che
trasformano la figura localmente corretta in una globalmente
impossibile.
è esattamente lo stesso “trucco” che i Penrose usarono oltre venti anni dopo.
La
figura, “Tribar”, localmente coerente, diventa globalmente impossibile
per gli stessi motivi detti sopra. Se questa è la spiegazione matematica
elementare della prospettiva giapponese,
è anche vero che, in quasi
settant’anni di lavoro l’artista di Lund molto ha riflettuto, lavorato e
creato, ricamando, sullo stesso principio, in molti modi che i suoi
disegni in mostra illustrano meglio e più di quanto si potrebbe fare con
qualsiasi testo.

Una nota, invece, mi pare interessante, ed è la
profonda differenza con Escher. Mentre il Maestro Olandese sfrutta ma
nasconde la prospettiva giapponese, per elaborare complesse ed
affascinanti messe in scena dal vago sapore surrealista, lo Svedese
preferisce evitare ogni contaminazione, per quanto possibile, con il
reale, assurdo o coerente che sia. Reutersvärd, a parte pochi giochi
ironici (che io conosco, ma che non ho mai visto pubblicati), preferisce
la purezza della figura essenziale, tutta geometrica, pulita; perfino
cominciare ad usare acquarelli è stato per lui uno sforzo, non troppi
anni fa. Ritiene infatti che il bello estetico della sua operazione
consista nella figura impossibile in sé, non nella magìa, che pure
potrebbe facilmente far scaturire da essa, e che in qualche modo
affascina in Escher. Reutersvärd ritiene di non averne bisogno, nulla
volendo
concedere ad altro che non sia la pura figura. Per esempio,
così come Escher, anche Reutersvärd ha trasformato alcune sue figure
impossibili in scale, ma non ha mai sentito lesigenza di farle
percorrere (sempre verso lalto sempre verso il basso) da monaci o da
acque in perenne discesa; si è sempre e solo limitato a suggerire
implicitamente a chi sta osservando di percorrerle con l'immaginazione
.

A
causa di questa sottile finezza, come ho avuto modo di constatare tante
volte, ci sono molte persone, di varia età, di varia cultura, che non
riescono sempre a cogliere l'impossibilità
è ben noto che l'occhio
umano è costretto, dalla nostra cultura ancestrale, a trasformare ciò
che vede e che riconosce essere rappresentazione bidimensionale del
tridimensionale, in cosa, in possibile oggetto. Se l'occhio è
allenato, le figure impossibili di Reutersvärd rendono vano,
impossibile, inutile questo sforzo! L'occhio cerca una ragione che non
cè, il cervello rifiuta limmagine globale e fornisce automaticamente
il motivo della impossibilità. Ma vi sono persone che, non aiutate in
ciò proprio dalla mancanza di riferimenti ad altri esempi o cenni del
reale, non sentono (non vedono, non percepiscono, come dire?) questa
impossibilità, e non colgono dunque dai disegni quello che di drammatico
e di violento essi contengono. è per questo che io apprezzo di più la
purezza ed il coraggio di Reutersvärd, rispetto alla grazia ed
all'ironia di Escher.
Bibliografia
Caldarelli M. (1985). Cinquantanni di figure impossibili. Arte e scienza, 85, 70-73.
DAmore
B. (1999). Il fascino discreto e sofisticato che la Matematica esercita
su artisti, studenti ed altri illustri personaggi. Scuola Ticinese,
226, 9-14.
Emmer M. (1995). Luomo impossibile. LUnità, 20 dicembre 1995.
Ernst
B. (1985). Avonturen met onmogelijke figuren. Baarn (Olanda). Edizione
del 1990: Berlin, Benedikt Taschen Verlag. [Esiste anche una edizione in
lingua italiana dello stesso editore].
Gullberg J. (senza data), Mathematics, from the birth of numbers. New York, W.
W.
Norton & Company. Penrose L.S & Penrose R. (1958). Impossible
Objects: a special type of visual illusion. The British Journal of
Psychology, 49.
Reutersvärd O. (1982). Impossible coloring book. New York: Perigee Books.
Schattschneider D. (1990). Vision of simmetry. New York: W. H. Freeman &
Comp. [Edizione italiana: Bologna, Zanichelli 1992].